martedì 26 luglio 2011

IN SARDEGNA SI ACCORGONO DEL GALSI: INIZIANO GLI ESPROPRI

La storia ci insegna che i sardi e le sarde spesso non sono capaci di guardare al di la del loro naso. A volte non si accorgono del pericolo di un danno, sino a quando non ci sbattono il muso malamente.
Prendete il fallimento della chimica: da oltre 10 anni si sapeva bene che quel settore sarebbe entrato in crisi. Nessuno ha pensato di correre ai ripari. Oppure guardate un’altra delle nostre “perle”, considerata dai politicanti locali un’opportunità di sviluppo: Quirra. Nonostante l’impegno dei volontari e volontarie che, per anni, hanno lottato da soli e senza mezzi per aprire gli occhi della gente su quanto stava accadendo li, solo grazie all’intervento della magistratura si è riusciti a fare chiarezza e, forse, a fermare le malsane porcherie che venivano fatte in quel posto. Oggi, fonti attendibili ci assicurano che la prossima a cadere sarà la stessa SARAS: qualcuno sta per caso pensando a come correre ai ripari? Nemmeno per sogno!
E' così anche per il GALSI. Il gasdotto che passerà qui da noi per portare il gas altrove. Anche quell’infernale macchina da guerra è ormai in marcia, nonostante ci sia stato qualcuno che ha dedicato anni di energie e risorse per raccontare ciò che stava per accadere[1]. Nulla da fare! Adesso quel tubo trancerà in due la Sardegna per 276 km, seminando distruzione e desolazione, inutilmente. Si, inutilmente, perché di quel gas nelle case sarde non ne arriverà neppure una molecola. Ma i sardi e le sarde questo non lo sanno.. anzi, sono stati convinti del contrario!
Una storia tipica, insomma. Gli stessi ingredienti e il piatto è servito: ennesima servitù e ennesimo sfacelo ai danni della Sardegna, con l’allegra complicità dei sardi. I soliti politicanti da strapazzo in cerca di onore, gloria e privilegi, grazie al loro nome inciso nella “grande opera che passerà alla storia”. Le solite, stupide, logiche da campanile: “qui da noi vogliamo il gas ma il tubo deve passare da un’altra parte e la centrale di compressione mettetevela altrove”. I soliti discorsi da trogloditi con anello al collo e sveglia al naso: “quel tubo è un’opportunità di sviluppo e energia gratis per tutti ”. Infine, la classica ciliegina nella torta: l'occupazione! “Quel tubo ci darà 10.000 posti di lavoro”!
Ma candu mai!
Ed ecco la rivolta, finalmente. Significa che qualcuno si è sentito toccato nel suo piccolo/grande interesse: forse il fazzoletto di terra dove per anni coltivava quella vigna che dava un vino squisito, da gustare con gli amici. E’ venuto a sapere per caso che gli verrà espropriato, per lasciare il posto a un cantiere. Gli hanno raccontato che poi rimetteranno tutto a posto e tutto ritornerà come prima ma lui non si fida. Sa che in Sardegna nulla ritorna mai al suo posto, e peccato che il suo interesse cozza con quelli per la sopravivenza di colossi come ENI e SONATRACH, indagate dalla Procura di Milano per corruzione internazionale in affari di gas algerino. Tutte brave personcine!
I giornali titolano: GALSI, inizia la rivolta, partono gli espropri per pubblica utilità[2]. L’arroganza in edicola avvisa che è stato avviato il “ procedimento per l'autorizzazione alla costruzione del gasdotto… per l’accertamento della conformità urbanistica, l’apposizione dei vincoli preordinato agli espropri, l’approvazione del progetto e della dichiarazione di pubblica utilità” di quell’inutile sconcio.
Siamo al delirio. Mentre un gruppo di fuoco ben organizzato sta sventrando in due inutilmente la nostra Isola, sindaci e politicanti parlano candidamente di strani plichi ricevuti in Comune che, dopo essere stati ben annusati, verranno forse analizzati con calma; nonché di inspiegabili e inopportune accelerazioni nella realizzazione dell’opera. Comunque tutti d’accordo nel volere fortissimamente quel gas, purché il gasdotto passi fuori dal loro territorio. Che bell’esempio di solidarietà regionale e senza un briciolo di sana vergogna! Lasciando perdere il fatto che quel gas non uscirà mai dai loro fornelli.
E GALSI ha deciso! Non il consiglio regionale e neppure i consigli comunali e provinciali; come neppure la gente interessata, o gli imprenditori, tantomeno gli operatori culturali hanno deciso. GALSI ha già deciso. Deciso di fare il gasdotto e deciso di costruire le mega-centrali di compressione a S.Antioco (chi se ne frega della distruzione delle praterie di poseidonia, della devastazione della più grande concentrazione di Pinna Nobilis del Mediterraneo, degli innumerevoli posti di lavoro persi, da quello nobile e antichissimo di Chiara Vigo, che dalla Pinna Nobilis trae la seta del mare, sino a quelli della Piccola Pesca locale) e a Olbia, 19 ettari e 23mila metri cubi a Vena Fiorita, una piccola SARAS con torri alte oltre 20 metri. Tubi dappertutto di fianco all’aeroporto, sino all’isola di Tavolara. Uno sconcio per la vista, per l’ambiente…e un’insulto per l’intelligenza di chi è stato tenuto volutamente all’oscuro di tutto.
Adesso, chi ha bisogno di visibilità avrà i suoi momenti di gloria. Con il megafono giallo in mano urlerà l’indignazione sua e dei disperati che gli stanno dietro con striscioni, adesivi, fischietti e bandierine. I sindacati di nuovo in prima fila nell’ennesima battaglia per salvare la Sardegna dai predoni. Tutti a Roma..no, meglio, tutti a Bruxelles!
Nel frattempo le ruspe avanzeranno, infliggendo l’ennesima, profonda, inutile ferita alla nostra povera Terra. Un triste copione che si ripete sulla pelle della gente onesta, quella che chiede solo di essere lasciata in pace e di poter vivere e lavorare serenamente e con dignità, senza essere presa per i fondelli.

PS: ancora bugie, sempre e solo bugie: Galsi, nel suo sito e in qualche giornale, rende noto che l'avviso di procedimento è stato pubblicato "in data odierna sui siti dei Comuni interessati e sui quotidiani....." . Abbiamo fatto una ricerca presso i siti di molti dei comuni interessati e nessun sito pubblica qualcosa al riguardo!!!


[1] Il Comitato Sardo “ProSardegnaNoGasdotto” é stato costituito diversi anni fa da un gruppo di liberi cittadini e cittadine sarde, con lo scopo di monitorare l’iter del progetto denominato GALSI. Il Comitato é sorto in particolare con l’intento di fare chiarezza su tale progetto ed assicurare che i legittimi interessi dei cittadini e delle cittadine della Sardegna siano adeguatamente tenuti in considerazione ed adeguatamente tutelati. Si ritiene, infatti, che il progetto GALSI costituisca una seria minaccia per il patrimonio ambientale e archeologico, l’economia rurale, la biodiversità e la stessa integrità del territorio della nostra Isola. Tutto ciò senza che, al momento, vengano chiaramente e inequivocabilmente dimostrati i vantaggi che tale progetto può offrire, al di la della “certezza” di un approvvigionamento energetico che nessuno, nell’ora attuale ed a livello globale, é in grado di assicurare.
[2] Per la costruzione del gasdotto GALSI, è necessario eseguire uno scavo di circa 3 m. di profondità, sventrando la Sardegna lungo 272 km. Si tratta di una tubazione del diametro di 1200 mm., in parte interrata e in parte in superficie, con una “fascia di asservimento” variabile tra i 40 e gli 80 metri dove non è possibile svolgere nessuna attività umana. Il lavoro di scavo è preceduto dall’apertura di aree di passaggio che dovranno essere tenute libere per consentire i lavori e la movimentazione dei mezzi pesanti. Nelle aree occupate da boschi, vegetazione e colture arboree, vigneti, frutteti, pascoli, aree archeologiche, agriturismi, etc., comporterà il taglio e l’eliminazione delle piante, danneggiando gravemente le colture, compromettendo l’economia delle produzioni tipiche locali, le attività agropastorali e agrituristiche, senza considerare i danni all’immagine stessa del territorio, gravemente e irrimediabilmente deturpata.



sabato 16 luglio 2011

Il gravissimo impatto ambientale di quei Radar "anti-migranti"

di Antonio Mazzeo

Cortei, sit-in, presidi permanenti, interrogazioni parlamentari, petizioni popolari, esposti e ricorsi al Tar. Cresce la protesta di cittadini e associazioni ambientaliste contro l’installazione in alcune riserve naturali di Puglia, Sardegna e Sicilia dei famigerati radar anti-migranti EL/M-2226 ACSR prodotti dall’azienda israeliana Elta System. I potenti sensori sono stati acquistati dalla Guardia di finanza grazie alle risorse del “Fondo europeo per le frontiere esterne”, programma quadro 2007-08 contro i flussi migratori, e costituiranno l’ossatura della nuova Rete di sensori radar di profondità per la sorveglianza costiera che sarà integrata al sistema di comando, controllo, comunicazioni, computer ed informazioni della forza armata per individuare e respingere le imbarcazioni di migranti di piccole dimensioni. Un affare di decine e decine di milioni di euro per il complesso militare industriale israeliano e per la società romana Almaviva (già Finsiel), scelta d’imperio dal Comando della Gdf per approntare i siti e posare i tralicci radar.
La lista delle località prescelte per gli impianti si fa ogni giorno sempre più fitta e comprende zone costiere del sud Italia sottoposte a vincoli ambientali e archeologici. La regione più colpita è senza dubbio la Sardegna: le località individuate per insediare i mostri a microonde sono l’isola di Sant’Antioco, Capo Pecora a Fluminimaggiore, Punta Foghe a Tresnuraghes, Capo Falcone a Stintino, Punta Scomunica all’Asinara e Capo Argentiera nel comune di Sassari. Nel caso di Sant’Antioco, l’installazione radar dovrebbe sorgere presso l’ex stazione militare di Capo Sperone - Su Monti de su Semaforu, sull’altura di Tinnias, splendida area oggi di proprietà della Regione Sardegna, ricadente nel parco naturale di “Carbonia ed Isole Sulcitane”, dove sono presenti pure fabbricati particolarmente significativi dal punto di vista storico-culturale ed architettonico. L’impianto di Punta Foghe a Tresnuraghes incide invece in un territorio classificato come “Zona di Protezione Speciale”, sottoposto a rigidi vincoli di natura ambientale per consentire il ripopolamento della fauna selvatica. Ciononostante, la Regione Sardegna è giunta ad autorizzare Almaviva ad eseguire lavori “in deroga” alle norme di tutela. A Capo Pecora – Fluminimaggiore, le ruspe hanno deturpato l’arenile di Portixeddu, area SIC (sito di interesse comunitario), grattando via in particolare il cucuzzolo di Murru Biancu, la collina che dominava il litorale roccioso.
In Puglia, nelle mire della Guardia di finanza ed Almaviva, c’è invece un terreno di 300 mq ubicato tra le località “Sciuranti” e “Salanare”, all’interno del perimetro del parco naturale Otranto – Santa Maria di Leuca – Bosco di Tricase. In questo caso, tuttavia, lo scorso 17 giugno il Tribunale amministrativo regionale di Lecce ha accolto la richiesta di sospensiva dei lavori d’installazione del radar presentata dal Comitato regionale di Legambiente Puglia, invalidando il parere favorevole reso dalla Soprintendenza dei Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Lecce, Brindisi e Taranto e dal comune di Gagliano del Capo. Per quanto riguarda invece la Sicilia, il radar è stato già montato da diversi mesi a Capo Murro di Porco presso la stazione di sollevamento fognario del Comune di Siracusa, zona sottoposta a vincolo paesaggistico ed archeologico e prospiciente l’oasi marina protetta del Plemmirio, istituita nel 2005. A seguito delle proteste dei residenti dell’area, dei no war e dell’Associazione Plemmyrion, il 16 aprile 2011 la ministra dell’ambiente Stefania Prestigiacomo (siracusana) aveva strappato al Comando della Guardia di finanza l’impegno ad “individuare in tempi brevi un sito alternativo per eliminare un traliccio che deturpa l’ambiente in una zona di pregio e sottoposta a tutela”, ma sino ad oggi non è stato fatto alcun intervento per rimuovere da Capo Murro di Porco le infrastrutture realizzate.
“L’installazione dei radar potrebbe comportare rischi per la salute dei cittadini, oltre che creare delle servitù militari permanenti e aggiuntive che in Sardegna, in particolare, andrebbero ad aggiungersi alle servitù già esistenti, le quali hanno prodotto per la popolazione residente già gravi conseguenze”, denuncia con un’interrogazione presentata ai ministri dell’Interno, dell’Economia e delle Finanze, della Difesa e dell’Ambiente, l’onorevole Francesco Ferrante (Pd). “Assolutamente insufficienti appaiono al riguardo le rassicurazioni del direttore generale di Almaviva, dott. Antonio Amati, secondo il quale i radar verranno installati su colline, lontane 300 metri dalle coste seguendo le procedure senza imboccare scorciatoie militari. E le emissioni elettromagnetiche saranno inferiori a quelle delle antenne dei telefonini”, riporta Ferrante. “Appare viceversa più attuale il rischio che si crei uno scempio ambientale, urbanistico e paesaggistico, come denunciato pubblicamente tra gli altri da Legambiente Sardegna, che ha chiesto su questi temi l’immediato avvio di un confronto a livello nazionale”. In conclusione, il parlamentare del Pd ha chiesto di conoscere “le procedure di assegnazione dell’appalto alla società Almaviva; l’iter amministrativo che ha condotto al rilascio delle autorizzazioni ad installare i radar in zone incontaminate delle coste italiane; se, e con quale decreto, siano state riconosciute tali strutture “opere di difesa militare”; se non si ritiene improcrastinabile adoperarsi per tutelare le aree interessate dalle installazioni, nonché opportuno avviare un monitoraggio in modo che sia garantita l’assenza di pericolo di inquinamento elettromagnetico”.
Sul pericolo elettromagnetico rappresentato dall’ultima generazione di radar anti-immigrati, è intervenuto Massimo Coraddu dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) di Cagliari. Il fisico ha analizzato lo studio di impatto elettromagnetico prodotto dagli ingegneri Antonio Casinotti e Giampaolo Macigno per conto della società Almaviva, relativo all’installazione dei radar a Gagliano del Capo e Siracusa. “Gli EL/M2226 ACSR sono trasmettitori Linear Frequency Modulated Continuous Wave (LFMCW) in X-band (dagli 8 ai 12.5 GHz di frequenza), con una potenza di emissione di 50 W e onde molto corte comprese tra i 300MHz e i 300 GHz”, esordisce Coraddu per poi denunciare come le due analisi “appaiano gravemente carenti sotto molteplici aspetti”, mentre i “risultati vengono riportati in modo poco trasparente e di difficile lettura”. “Esistono notevoli incertezze e imprecisioni riguardo le caratteristiche tecniche e l’esatta modalità di funzionamento del radar, dovute all’incompletezza di quanto riportato nell’analisi d’impatto e a incoerenza con quanto riportato dal costruttore”, scrive il fisico. “La procedura di calcolo adottata nello studio di Almaviva non è chiara (non è specificato quali strumenti software sono stati utilizzati e come); parte delle formule riportate sono erronee o inadeguate alla situazione (adozione di una approssimazione di “campo lontano” a distanze inferiori al limite che lo consente); non si è tenuto conto di tutti i contributi alle emissioni”.
Tra le gravi “incongruenze” delle caratteristiche tecniche del sistema radar, Massimo Coraddu individua quella relativa alla sua presunta velocità di rotazione costante. “Nella sua documentazione, la casa produttrice Elta-System vanta la grande capacità di risoluzione di questo radar, a loro dire capace di individuare il periscopio di un sommergibile tra i flutti a decine di Km di distanza, valutare direzione, velocità e numero di persone a bordo di una piccola imbarcazione a 20 Km di distanza. Sembra poco probabile che tali prestazioni si possano raggiungere semplicemente scansionando a velocità costante il tratto di mare antistante. È verosimile invece che la velocità di rotazione sia costante solo in fase di sorveglianza, mentre nel momento in cui un bersaglio viene individuato, il dispositivo possa essere bloccato e il fascio diretto sul bersaglio sino alla sua completa definizione. In questo caso, nella valutazione del possibile danno alle persone, deve essere individuato come peggior incidente possibile quello in cui il radar viene puntato e rimane fisso sul soggetto”.
Inoltre, in entrambe le analisi di impatto elettromagnetico, le uniche misure sul campo riportate sono quelle relative al livello di fondo dei campi presenti. “Una scelta immediatamente incongrua” scrive Coraddu. “Le misure sono state effettuate infatti con la sonda isotropa EP330, fabbricata dalla Narda S.r.l., che registra campi sino alla frequenza massima di 3 GHz, mentre il radar anti-migranti emetterà a frequenze molto superiori (oltre 9 GHz), alle quali la sonda non è sensibile, e il cui fondo quindi non può essere rilevato”.
Finanche “erronee” appaiono poi le procedure di calcolo dell’intensità delle onde irradiate negli impianti di Gagliano del Capo e Siracusa. Nello specifico, il calcolo del cosiddetto “campo vicino” - i cui effetti elettromagnetici vengono definiti “trascurabili” - è stato effettuato adoperando le formule adottate per la zona di “campo lontano”, non ottemperando a quanto previsto dalla norma CEI 211-7, per cui “ il limite di campo vicino deve essere posto alla maggiore delle due distanze, e dunque le formule approssimate per il campo lontano si potranno usare solo a distanze maggiori o uguali a 470 mt, e non a pochi metri dal sistema radiante, come specificato nella relazione”.
A conclusione del suo studio, Massimo Coraddu individua un’altra grave incongruenza nelle procedure di calcolo dell’elettromagnetismo dei sistemi made in Israele. “Tutte le stazioni radar di sorveglianza prevedono anche un dispositivo di telecomunicazione, un ponte radio per inviare i dati, in tempo reale, al centro di Comando, Controllo, Comunicazioni, Computing ed Informazioni C4I del Comparto Aeronavale della Guardia di Finanza”, scrive il fisico. “Come specificato dall’Ingegner Ferri dell’impresa Almaviva spa, in sede di conferenza dei servizi, per quanto riguarda l’installazione radar di Capo Sperone (Sardegna), ad esempio, il ponte radio è realizzato con un sistema radiante fisso di 120 cm di diametro operante nella banda di 8 GHz. Le emissioni di questo sistema di telecomunicazioni devono quindi essere valutate, mentre invece in entrambe le analisi di impatto elettromagnetico viene invece misurata, in modo scorretto, solo la componente di fondo, mentre non si tiene conto in alcun modo del contributo del ponte radio.
Possiamo pertanto affermare che è stata applicata una procedura inconsistente e inadeguata per la valutazione delle emissioni nella zona circostante il radar”. I nuovi radar della Guardia di finanza, prima ancora di scatenare la loro guerra ai migranti, hanno già fatto le prime vittime: l’ambiente, il paesaggio e la salute delle popolazioni residenti.