lunedì 19 aprile 2010

La seconda battaglia di Algeri contro il gasdotto dell' Eni

Dal Corriere della Sera

Corriereconomia.Terrorismo & affari / Allarme per gli attentati dei fondamentalisti islamici La seconda battaglia di Algeri contro il gasdotto dell'Eni La nuova battaglia di Algeri e' quella che si sta combattendo, in silenzio, attorno a un tubo di acciaio lungo 300 chilometri che si snoda lungo il Sahara.
Cioe' attorno al gasdotto che trasporta 24 miliardi di metri cubi all'anno di metano direttamente dai giacimenti nel deserto algerino di Hassi R'Mel, poi attraverso la Tunisia, infine sotto il Mediterraneo per riaffiorare in Sicilia. Il pacemaker di acciaio che tiene in vita l'Algeria e' entrato nel mirino dei terroristi islamici. Ormai sono almeno tre gli attentati che hanno bloccato o rallentato l'esportazione di gas verso l'Italia, che e' il miglior cliente della Sonatrach, la grande holding algerina dell'energia. Ogni volta, alla centrale del gruppo Eni di San Donato Milanese i tecnici che gestiscono il flusso di gas hanno sentito la pressione crollare all'improvviso. Subito sono subentrati i piani di emergenza: al posto del gas algerino e' stato immesso in rete quello nostrano, che viene dalla Padania. Ma, in caso di fabbisogno prolungato, anche il gas russo e' pronto a subentrare. L'ultimo attentato al Transmed - questo il nome ufficiale del gasdotto tra Algeria e Italia - e' avvenuto all'inizio di aprile a Bir El - Ater, nella provincia orientale di Tebessa. Solamente una delle due grandi pipeline che corrono parallele lungo il Sahara (il raddoppio e' appena stato completato) e' stata danneggiata, ma il contatore che in Italia misura la quantita' di idrocarburi erogati dall'Algeria ha fatto segnare una bolletta inferiore di molti milioni di dollari. Il contratto siglato tra i due Paesi, infatti, comporta multe e riduzioni dei pagamenti in caso di mancata erogazione del gas. A Bir El - Ater, invece, l'esercito algerino e' riuscito, per la prima volta, a catturare gli attentatori, con una battaglia durata molte ore che ha lasciato sul campo i cadaveri di sei fondamentalisti islamici. Il risultato e' stato ottenuto grazie agli elicotteri da combattimento appena comprati dal Sudafrica dopo anni di negoziati con altri possibili fornitori internazionali di armamenti. La vendita al governo di Algeri di elicotteri cosi' sofisticati, infatti, prima ancora che un affare economico e' un dilemma politico, che solo Nelson Mandela e' riuscito a risolvere, optando alla fine per il si'. Il precedente attentato risale a febbraio, quando il gasdotto e' rimasto interrotto per ben tre giorni. Algeri minimizza, ma in quel caso le fiamme erano divampate in modo cosi' violento da essere visibili a 40 chilometri di distanza, in territorio tunisino. In entrambi i casi, comunque, le autorita' algerine parlano di guasti tecnici, come quando lo scorso novembre una bomba aveva danneggiato le tubature di Bir El - Ater. I clienti occidentali non possono far nulla - ammesso che abbiano una soluzione - perche' il gasdotto e' sotto completa giurisdizione algerina, in teoria sorvegliato a vista da militari. In realta', tutti sanno che il Transmed e' particolarmente vulnerabile, e non solo per la spietata efficienza dei commando terroristici: le tubature, infatti, non sono interrate come avviene per i gasdotti occidentali, ma sono semplicemente appoggiate sulla sabbia del deserto, con un po' di terra e di materiale plastico a ricoprirle. Inoltre, nessuno potrebbe garantire la sicurezza di un tubo che si trova in mezzo al deserto, in condizioni logistiche e climatiche molto difficili. Algeri assicura che tutto e' sotto controllo. Ma questa cautela non ha impedito alle societa' petrolifere internazionali di preparare piani di evacuazione del proprio personale, che vive confinato in piccoli accampamenti protetti dai reparti militari. I circa cento dipendenti del gruppo Eni vivono nei due campi petroliferi di Bir Rebah e Hassi Messaoud, nel Sud Est del Paese e quindi molto lontani dal gasdotto. Per ora non ci sono segnali di attentati ai pozzi, ma solo di qualche blitz di predoni del deserto. Per l'Algeria, comunque, la situazione potrebbe diventare seria. Il Paese incassa ogni anno 12 miliardi di dollari in introiti legati all'energia (il 97 % dell'export totale algerino) ed e' appena stato avviato il piano di razionalizzazione dell'ente energetico Sonatrach. Con la fusione in un'unica societa' di tutte le attivita' di estrazione, raffinazione e commercializzazione, la Sonatrach punta a diventare una societa' collocabile sul mercato. Qualcuno pensa che la Sonatrach possa essere presto privatizzata, magari vendendola a grandi investitori istituzionali stranieri. Finora gli analisti hanno scommesso sul fatto che ai fondamentalisti islamici non conviene danneggiare le infrastrutture per non ereditare - se e quando ci riusciranno - un Paese con l'economia azzoppata. Ma e' possibile che la strategia del fondamentalismo sia cambiata e che le bombe siano anche la risposta al progetto di privatizzazione di quella che e' l'unica risorsa del Paese.

Orizio Riccardo

1 commento:

  1. Direi di fare un soggiorno in Algeria. I campi non hanno protezione militare, ma guardie private o personale della gendarmeria che scorta il personale dal campo al luogo di lavoro. Il divieto di uscire dai campi vige perchè le imprese possano diminuire le responsabililtà per "qualsiasi" tipo di incidente (meno che in itali) furti, borseggi ecc. e per ridurre i costi di assicurazione sul personale. la situazione non è comoda, ma non è così come viene descritta, ad oggi, e non è un giorno che sono in Algeria, non ho mai visto un terrorista.

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