Dopo aver letto la nota del
Segretario regionale del Pd su “Tav, Galsi e referendum”, pubblicata da un quotidiano locale qualche giorno fa, mi
è parso opportuno svolgere alcune considerazioni, andando un
po’ più a fondo circa alcune questioni che la nota affrontava solo in
termini
interlocutori*. Non si comprende su quali dati il Segretario si basi per
sostenere che opere come TAV e GALSI sarebbero, a prima vista,
necessarie per
"modernizzare" il Paese. Per quanto concerne in particolare il GALSI,
la legge per la metanizzazione del Mezzogiorno risale al 1980 e,
considerate le
tecnologie oggi a disposizione, i metanodotti vengono ormai comunemente
considerati
dei "ferrivecchi" che, purtroppo, continuano a venire imposti alla gente
per rispondere a esigenze e logiche che nulla hanno a che vedere con
il loro benessere ed il miglioramento delle condizioni di vita e di
lavoro nei loro territori. Non mi è parso peraltro appropriato
sostenere, come fa il rappresentante del PD sardo, che in Italia
le grandi opere "non si riescono a fare" . Faccio un esempio che
conosco: dagli anni 80 ad oggi in Sardegna si è riversata una valanga di
danaro
proveniente dall'Unione Europea. Con meno della metà di quei quattrini
in paesi
come la Spagna (peraltro entrata nell'UE dopo di noi) si sono dotati
delle
infrastrutture necessarie per "modernizzare" il Paese (autostrade,
treni, ospedali, scuole, aeroporti, etc.). Qui da noi basta guardarsi
intorno
per chiedersi dove sono finiti tutti quei soldi. Quindi, in realtà, non è
che
non siamo riusciti a fare le grandi opere; semplicemente non le abbiamo
volute
realizzare, avendo preferito, da un lato, restituire i soldi a Bruxelles
(cosa
che avviene tuttora in quanto non li sappiamo spendere) e, dall'altro,
distribuirli a pioggia per soddisfare
clientele e squallidi interessucci, spesso di Partito. Il Segretario,
nella sua nota cita
l'esempio dell'esperienza francese e toscana in merito al coinvolgimento
delle popolazioni interessate alle "grandi opere". Esempi che non
considero
pertinenti per un semplice motivo: i sardi hanno forse la stessa
mentalità,
identità e cultura dei francesi e dei toscani? Non mi pare proprio.
Inoltre, il
problema di quelle opere non è tanto che "dividono" le comunità,
quanto il fatto che queste non vengono opportunamente informate al
riguardo oppure,
come è accaduto in Sardegna con il GALSI, addirittura sono tenute
dolosamente
all'oscuro, con il preciso obiettivo di evitare inutili intralci o
problemi ad
un'opera "considerata strategica" da chi ha già deciso per loro.
Tutto ciò avviene in aperta violazione delle leggi in vigore, delle
direttive
europee e delle convenzioni internazionali. Dunque, il
collegamento che il Signor Lai fa con i referendum mi pare quantomeno
fuori luogo. Per
carità, va benissimo cavalcare l'onda referendaria ma facendo ben
attenzione ad un aspetto che il Segretario pare dimenticare: il
referendum non serve laddove basta applicare la legge. Soprattutto in
merito alle "grandi
opere", sarebbe sufficiente, anche al fine di evitare conflitti,
applicare bene
la normativa nazionale, europea e internazionale in vigore, in
particolare in
merito agli obblighi di informazione, comunicazione e coinvolgimento
delle
popolazioni locali circa la loro realizzazione. Questo non è stato fatto
ne per
la TAV e ne per il GALSI e, purtroppo, anche lo stesso PD sardo, senza
conoscere
il progetto GALSI, lo difende ed è favorevole alla sua realizzazione.
Ciò in
barba al coinvolgimento delle popolazioni interessate, completamente
all’oscuro
della reale portata di un progetto che, venduto come ennesima
"opportunità", si rivela invece essere un'altra orribile speculazione ai
danni nostri e della nostra Terra. Per evitare tutto questo non
occorrono
referendum. Basta applicare la legge ed usare il buonsenso.
Sergio Diana
Comitato ProSardegnaNoGasdotto
*Ovviamente, quel giornale si è guardato bene dal pubblicare le nostre osservazioni.
C’è qualcosa che unisce la Tav, il Galsi e i 10 referendum sui quali i sardi
dovranno votare nel mese di maggio?A prima vista le prime due sono grandi opere
che sarebbero necessarie per modernizzare il Paese, per migliorare lo stock di
infrastrutture nazionali e rendere uguali le risorse dei cittadini italiani
dovunque scelgano di abitare. Tav e Galsi sono tra gli interventi che da una
parte fanno gridare allo scandalo in un Paese dove le grandi opere non si
riescono a fare e dall’altra dividono le comunità. Una divisione che non è solo
tra chi ne disegna l’utilità ma non vuole che sia nel suo giardino ma anche tra
chi ne discute seriamente la strategicità e il rapporto costi benefici per le
popolazioni locali. I referendum sono un tentativo di stimolare le istituzioni
ad affrontare riforme che si stanno avviando nel resto del Paese e che in
Sardegna rischiano di restare bloccate. Allora cosa unisce una grande opera e
il referendum nel nostro Paese? Sono in entrambi i casi una sfida ad un nuovo
rapporto tra partiti e cittadini, tra istituzioni e forme di rappresentanza,
tra politica e partecipazione. È possibile che una grande opera sia discussa
per un tempo preciso con i cittadini attraverso processi di dibattito pubblico,
strutturati e regolati in maniera condivisa? La risposta è si, lo fanno i
francesi con il debat public, lo fanno in Toscana dove - ci ricorda Claudio
Martini, già presidente della Regione - ogni opera importante deve avere un
preventivo processo di partecipazione, richiesto dall’Ente pubblico o dai
cittadini. Un garante terzo, nominato dal Consiglio regionale, ne assicura la
correttezza. Per sei mesi, fornite tutte le informazioni, si raccolgono le
opinioni di tutti i cittadini, organizzati o no. Alla fine c’è un responso
motivato cui l’Ente responsabile può conformarsi o no, dandone comunque
motivata argomentazione. È difficile? Si, ma è meglio che il conflitto, se ci
deve essere, sia sviluppato prima delle delibere e non dopo, e che possano
parlare tutti i cittadini e non solo i comitati. E soprattutto è meglio, ed è
più adeguato al livello di informazioni che i cittadini hanno e alla sovranità
non delegata che vogliono esercitare, se le grandi decisioni che richiedono
alla politica e alla pubblica amministrazione vengano dibattute prima di essere
assunte. Negli anni scorsi una proposta di legge della Giunta Regionale
sull’open government e sulla trasparenza amministrativa non fece in tempo ad
entrare nel dibattito pubblico: riguardando quella norma proposta nel 2008, ci
rende conto di quanto indietro abbia portato la Sardegna questa legislatura e,
al contrario, di quanto sia cresciuta l’esigenza di partecipazione e progredito
il dibattito sugli strumenti più avanzati. Ecco il collegamento con i dieci
referendum di maggio, con la necessità che di fronte alla graduale
delegittimazione della politica, non sempre meritata, e spesso pericolosa per
la tenuta della coesione sociale, non ci si chiuda in difesa, traccheggiando
nei palazzi o nascondendo le scelte ai cittadini, considerandoli come faceva
Berlusconi ai tempi delle decisioni sul nucleare, non in grado di comprendere e
decidere. Come ha scritto recentemente Michele Ainis, il processo democratico
nel nostro Paese si è inceppato, viviamo da separati in casa, il Paese trasuda
livore e una faglia divide politica e cittadini. Anche il governo tecnico,
necessario e obbligato, sostenuto da un Parlamento che vota decreti legge e
maxiemendamenti, sono il segno di un filo spezzato che deve essere ricucito. E
i partiti devono accettare che questo filo sia tenuto in mano anche dai
cittadini seguendo due strade: scrivendo una nuova legislazione sulla
partecipazione alle grandi scelte e sulla trasparenza nelle istituzioni e nella
società, e sostenendo ogni forma di decisione popolare, dalle primarie ai
referendum, mettendosi a disposizione per informare e decidere insieme. Solo
così si ricostruisce un nuovo rapporto tra cittadini e istituzioni e per esso
si legittima una nuova politica che dia il suo insostituibile contributo alla
democrazia e alla crescita del nostro Paese. Segretario regionale del Pd
Condivido le tue considerazioni Sergio. Aggiungo che putroppo alcuni, tra cui il signore della foto quì sopra, non conoscono affatto il progetto GALSI e continuano a parlare senza cognizione di causa!
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