martedì 27 marzo 2012

TAV E GALSI? NULLA A CHE VEDERE CON I REFERENDUM!

Dopo aver  letto la nota del Segretario regionale del Pd su “Tav, Galsi e referendum”, pubblicata da un quotidiano locale qualche giorno fa, mi è parso opportuno svolgere alcune considerazioni, andando un po’ più a fondo circa alcune questioni che la nota affrontava solo in termini interlocutori*. Non si comprende su quali dati il Segretario si basi per sostenere che opere come TAV e GALSI sarebbero, a prima vista, necessarie per "modernizzare" il Paese. Per quanto concerne in particolare il GALSI, la legge per la metanizzazione del Mezzogiorno risale al 1980 e, considerate le tecnologie oggi a disposizione, i metanodotti vengono ormai comunemente considerati dei "ferrivecchi" che, purtroppo, continuano a venire imposti alla gente per rispondere a esigenze e logiche che nulla hanno a  che vedere con il loro benessere ed il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro nei loro territori. Non mi è parso peraltro appropriato sostenere, come fa il rappresentante del PD sardo, che in Italia le grandi opere "non si riescono a fare" . Faccio un esempio che conosco: dagli anni 80 ad oggi in Sardegna si è riversata una valanga di danaro proveniente dall'Unione Europea. Con meno della metà di quei quattrini in paesi come la Spagna (peraltro entrata nell'UE dopo di noi) si sono dotati delle infrastrutture necessarie per "modernizzare" il Paese (autostrade, treni, ospedali, scuole, aeroporti, etc.). Qui da noi basta guardarsi intorno per chiedersi dove sono finiti tutti quei soldi. Quindi, in realtà, non è che non siamo riusciti a fare le grandi opere; semplicemente non le abbiamo volute realizzare, avendo preferito, da un lato, restituire i soldi a Bruxelles (cosa che avviene tuttora in quanto non li sappiamo spendere) e, dall'altro, distribuirli a pioggia per soddisfare clientele e squallidi interessucci, spesso di Partito. Il Segretario, nella sua nota cita l'esempio dell'esperienza francese e toscana in merito al coinvolgimento delle popolazioni interessate alle "grandi opere". Esempi che non considero pertinenti per un semplice motivo: i sardi hanno forse la stessa mentalità, identità e cultura dei francesi e dei toscani? Non mi pare proprio. Inoltre, il problema di quelle opere  non è tanto che "dividono" le comunità, quanto il fatto  che queste non vengono opportunamente informate al riguardo oppure, come è accaduto in Sardegna con il GALSI, addirittura sono tenute dolosamente all'oscuro, con il preciso obiettivo di evitare inutili intralci o problemi ad un'opera "considerata strategica" da chi ha già deciso per loro. Tutto ciò avviene in aperta violazione delle leggi in vigore, delle direttive europee e delle convenzioni internazionali. Dunque, il collegamento che il Signor Lai fa con i referendum mi pare quantomeno fuori luogo. Per carità, va  benissimo cavalcare l'onda referendaria ma facendo ben attenzione ad un aspetto che il Segretario pare dimenticare: il referendum non serve  laddove basta applicare la legge. Soprattutto in merito alle "grandi opere", sarebbe sufficiente, anche al fine di evitare conflitti, applicare bene la normativa nazionale, europea e internazionale in vigore, in particolare in merito agli obblighi di informazione, comunicazione e coinvolgimento delle popolazioni locali circa la loro realizzazione. Questo non è stato fatto ne per la TAV e ne per il GALSI e, purtroppo, anche lo stesso PD sardo, senza conoscere il progetto GALSI, lo difende ed è favorevole alla sua realizzazione. Ciò in barba al coinvolgimento delle popolazioni interessate, completamente all’oscuro della reale portata di un progetto che, venduto come ennesima "opportunità", si rivela invece essere un'altra orribile speculazione ai danni nostri e della nostra Terra. Per evitare tutto questo non occorrono referendum. Basta applicare la legge ed usare il buonsenso.
Sergio Diana
Comitato ProSardegnaNoGasdotto
 *Ovviamente, quel giornale si è guardato bene dal pubblicare le nostre osservazioni.
  
NOTA PUBBLICATA SU "LA NUOVA SARDEGNA" DI QUALCHE GIORNO FA
C’è qualcosa che unisce la Tav, il Galsi e i 10 referendum sui quali i sardi dovranno votare nel mese di maggio?A prima vista le prime due sono grandi opere che sarebbero necessarie per modernizzare il Paese, per migliorare lo stock di infrastrutture nazionali e rendere uguali le risorse dei cittadini italiani dovunque scelgano di abitare. Tav e Galsi sono tra gli interventi che da una parte fanno gridare allo scandalo in un Paese dove le grandi opere non si riescono a fare e dall’altra dividono le comunità. Una divisione che non è solo tra chi ne disegna l’utilità ma non vuole che sia nel suo giardino ma anche tra chi ne discute seriamente la strategicità e il rapporto costi benefici per le popolazioni locali. I referendum sono un tentativo di stimolare le istituzioni ad affrontare riforme che si stanno avviando nel resto del Paese e che in Sardegna rischiano di restare bloccate. Allora cosa unisce una grande opera e il referendum nel nostro Paese? Sono in entrambi i casi una sfida ad un nuovo rapporto tra partiti e cittadini, tra istituzioni e forme di rappresentanza, tra politica e partecipazione. È possibile che una grande opera sia discussa per un tempo preciso con i cittadini attraverso processi di dibattito pubblico, strutturati e regolati in maniera condivisa? La risposta è si, lo fanno i francesi con il debat public, lo fanno in Toscana dove - ci ricorda Claudio Martini, già presidente della Regione - ogni opera importante deve avere un preventivo processo di partecipazione, richiesto dall’Ente pubblico o dai cittadini. Un garante terzo, nominato dal Consiglio regionale, ne assicura la correttezza. Per sei mesi, fornite tutte le informazioni, si raccolgono le opinioni di tutti i cittadini, organizzati o no. Alla fine c’è un responso motivato cui l’Ente responsabile può conformarsi o no, dandone comunque motivata argomentazione. È difficile? Si, ma è meglio che il conflitto, se ci deve essere, sia sviluppato prima delle delibere e non dopo, e che possano parlare tutti i cittadini e non solo i comitati. E soprattutto è meglio, ed è più adeguato al livello di informazioni che i cittadini hanno e alla sovranità non delegata che vogliono esercitare, se le grandi decisioni che richiedono alla politica e alla pubblica amministrazione vengano dibattute prima di essere assunte. Negli anni scorsi una proposta di legge della Giunta Regionale sull’open government e sulla trasparenza amministrativa non fece in tempo ad entrare nel dibattito pubblico: riguardando quella norma proposta nel 2008, ci rende conto di quanto indietro abbia portato la Sardegna questa legislatura e, al contrario, di quanto sia cresciuta l’esigenza di partecipazione e progredito il dibattito sugli strumenti più avanzati. Ecco il collegamento con i dieci referendum di maggio, con la necessità che di fronte alla graduale delegittimazione della politica, non sempre meritata, e spesso pericolosa per la tenuta della coesione sociale, non ci si chiuda in difesa, traccheggiando nei palazzi o nascondendo le scelte ai cittadini, considerandoli come faceva Berlusconi ai tempi delle decisioni sul nucleare, non in grado di comprendere e decidere. Come ha scritto recentemente Michele Ainis, il processo democratico nel nostro Paese si è inceppato, viviamo da separati in casa, il Paese trasuda livore e una faglia divide politica e cittadini. Anche il governo tecnico, necessario e obbligato, sostenuto da un Parlamento che vota decreti legge e maxiemendamenti, sono il segno di un filo spezzato che deve essere ricucito. E i partiti devono accettare che questo filo sia tenuto in mano anche dai cittadini seguendo due strade: scrivendo una nuova legislazione sulla partecipazione alle grandi scelte e sulla trasparenza nelle istituzioni e nella società, e sostenendo ogni forma di decisione popolare, dalle primarie ai referendum, mettendosi a disposizione per informare e decidere insieme. Solo così si ricostruisce un nuovo rapporto tra cittadini e istituzioni e per esso si legittima una nuova politica che dia il suo insostituibile contributo alla democrazia e alla crescita del nostro Paese. Segretario regionale del Pd

1 commento:

  1. Condivido le tue considerazioni Sergio. Aggiungo che putroppo alcuni, tra cui il signore della foto quì sopra, non conoscono affatto il progetto GALSI e continuano a parlare senza cognizione di causa!

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